I nostri ricordi vanno spesso alle storie immaginarie delle favole dell’infanzia, popolate da streghe che avvelenano, da orchi che divorano, da paesaggi di zucchero ed enormi abbuffate, e alle insolite cucine delle nonne, magici luoghi alchemici ove la fantasia trasformava gli elementi in pranzi o cene memorabili.
Dalla elaborazione di un pensiero nasce quindi il dono della gastronomia, la capacità di mutare il bisogno primario del nutrirsi in un piacere ricercato ed evocatore di antichi sapori vestiti di nuove forme.
La cultura di tutti i popoli e di tutte le epoche ci porta chiare testimonianze di come il rito del cibo sia il fulcro condizionante del trascorrere stesso del giorno; e tutta la nostra storia di individui e di uomini ruota attorno all’istinto primario del cibarsi.
In esso si riafferma l’eterna sfida del fronteggiamento della morte, del superamento della paura e dell’angoscia del fluire del tempo.
Cibarsi, del resto, è un bisogno primario che condiziona, di necessità, tutti gli altri comportamenti: spesso affoghiamo nel cibo i nostri dolori, i nostri rimpianti, festeggiamo con il cibo i nostri successi, le nostre realizzazioni, i nostri amori; come è stato detto, in alcuni saggi sulla psicosociologia dell’alimentazione contemporanea, esso è definito un “sistema di comunicazione”.
Non più solo alimento del corpo, ma anche stimolatore di quell’Io interiore che evoca ricordi emozionali profondi, non più solo un bisogno ma anche un valore duttile e trasformabile; infatti, nel tempo, pietanze che in passato segnalavano la povertà frugale delle campagne, oggi troneggiano su tavole sofisticate e raffinate.
L’evolversi della società e dell’economia dopo il cosiddetto boom industriale, ha profondamente condizionato le nostre consuetudini alimentari, permettendo l’utilizzo di una maggior quantità di cibo per quasi tutte le fasce della popolazione.
Come sempre, però, niente è tutto bene o tutto male: questo passaggio da una alimentazione parca e frugale, tipica della cultura contadina, a una più raffinata ha originato l’insorgere di comportamenti dietetici scorretti, confusi, illogici e spesso nocivi e pericolosi. Nella confusione dell’ informazione su una problematica così complessa come quella alimentare, va ricercata quella disinvolta sottovalutazione dei rischi e dei danni che accompagna una alimentazione sbagliata e squilibrata.
Fiumi di parole sono stati spesi per imporre, divulgare questa o quella dieta:
dieta punti, dieta dissociata, la dieta dell’acero, quella del limone, quella del minestrone, la dieta a zona…
Campagne pubblicitarie martellanti promuovono innumerevoli soluzioni di facile e semplice impiego per raggiungere un’immagine che aderisca ai modelli sociali vincenti.
Le pubblicazioni di testi sull’educazione alimentare si sprecano, disorientando spesso il lettore che si sente spinto ora in una direzione, ora in un’altra, supportata da questa o quella filosofia, tutte perfette, consequenziali e convincenti.
Nell’enorme quantità di scritti, da divulgativi a specialistici, noi, con la nostra “Filosofia del mangiare sano”, vogliamo dare una indicazione informativa sugli effetti negativi di una errata informazione alimentare, sottolineando l’importanza della prevenzione che, attraverso il cibo, siamo in grado di operare sul nostro fisico e sulla nostra mente.